Il messaggio del Presidente Onorario UIPA Giorgio Chiesa
Era il 1952, a Cannes presso il Carlton Hotel. I rappresentanti di sette Paesi, tra questi l’Italia oltre a Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Gran Bretagna e Svizzera, “incrociarono le chiavi”, naturalmente d’oro. Un venerdì.
Dobbiamo essere onorati di essere tra i Paesi fondatori di questa associazione che raggruppa i “concierge” a livello mondiale. In Italia le luci della ribalta sono addirittura in anticipo con la fondazione a Milano nel 1949 per essere ratificata al primo congresso in quel di Pisa sempre nel 1952.
Da allora tanti anni sono passati. Vita vissuta e vicissitudini ci portano ai tempi nostri. Nel mutamento generale resta intatta “l’anima” del concierge, del portiere d’albergo. La sua volontà di essere al servizio espletando la funzione più importante. Quella di migliorare l’esperienza dell’Ospite. Intesa come gradimento della percezione finale. Attraverso diversi incarichi che vanno dalla mera accoglienza alla capacità di relazione con l’Ospite a tutto campo. Di fatto preposto ad occuparsi delle necessità più disparate esaudendo, nei limiti ragionevoli e legali, le richieste e i bisogni della Clientela. Nasce come figura principe negli alberghi di lusso ma di fatto chiunque si adoperi al benessere dell’Ospite in qualunque albergo, al di là delle stelle, diviene di fatto un concierge. Affermazione che non sottintende la quintessenza reale.
Nel corso degli anni la professione, non la professionalità, è venuta meno per un insieme di fattori. Prima tra tutti la tecnologia. Ma ribadisco che quello che può l’uomo non sempre può la tecnologia. La costituzione della mente umana funziona grazie ad un hardware, il cervello. La cui struttura anche fisica è ben diversa da quella di un hardware di un computer. Su questo principio si deve basare il futuro di questa professione. Che si può avvalere della tecnologia ma non viceversa. Non deve rifiutare la tecnologia ma deve essere capace di intraprendere, anche con un semplice sorriso – soprattutto un sorriso, tutto quanto l’animo umano, e solo quello umano, è capace.
Una qualsiasi associazione porta con sé i principi fondamentali dell’esistenza: il comune denominatore associativo. Che nella nostra si identificano dalle due chiavi d’oro incrociate che fregiano livree e diverse degli addetti ai lavori. Se le due chiavi rappresentano il simbolo identificativo la coscienza professionale non può essere inferiore. Il comune denominatore non può essere messo in discussione sebbene, come sopra sostenuto, chiunque si adoperi al benessere dell’Ospite possa sentirsi “concierge”, perché solo chi ne espleta la funzione in maniera primaria può essere definito tale.
Se il comune denominatore associativo è alla base non può mancare un aspetto altrettanto importante dell’essere umano. Il valore fondante dell’amicizia. Senza traviarlo a fini strumentali, o peggio di ripiego, questo valore deve restare indissolubile e capace di fare da collante tra le tante anime rappresentate in seno associativo.
Lunga vita al portiere d’albergo ed a le Clefs d’Or Italia.
Giorgio Chiesa
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